Data: 14 Lug­lio 2019 | Pre­di­ca­to­re:
Serie: | Tes­to bibli­co: Mar­co 2:5
https://sermons.seetal-chile.ch/wp-content/uploads/2019/01/Serie_Willkommen_daheim.jpg
Sug­ge­ri­men­to: Ques­to ser­mo­ne è sta­to tra­dot­to auto­ma­ti­ca­men­te. Si pre­ga di nota­re che non pos­sia­mo accet­ta­re alcu­na responsa­bi­li­tà per l’ac­cu­ra­tez­za del contenuto.

Un para­li­ti­co spe­ri­men­ta la gua­ri­gio­ne e il per­do­no dei suoi pec­ca­ti attra­ver­so Gesù. Arri­va a ques­ta espe­ri­en­za per­ché ha amici e vici­ni che lo aiuta­no. Han­no un cuo­re per lui. Lo porta­no a Gesù e non si arren­do­no nono­stan­te gli ost­aco­li. Cre­do­no fer­ma­men­te che Gesù aiuterà e quin­di diven­terà una bene­di­zio­ne per il paralitico.


Ques­ta mat­ti­na voglia­mo rif­let­te­re insie­me su una sto­ria che pro­ba­bilm­en­te cono­sce­te tut­ti mol­to bene. È la sto­ria del­la «gua­ri­gio­ne del para­li­ti­co a Cafar­nao». Si tro­va nel Van­ge­lo di Mar­co, capi­to­lo 2. Leg­gerò i ver­set­ti 1–12. Voglio met­te­re la sce­na più importan­te di ques­ta nota sto­ria pro­prio all’i­ni­zio del mio ser­mo­ne. Sì, qual è la sce­na più importan­te di ques­ta storia?

  • È il momen­to in cui gli uomi­ni cala­no il loro ami­co para­liz­za­to attra­ver­so il tet­to – pro­prio ai pie­di di Gesù? Ques­to è sen­za dub­bio un momen­to spe­cia­le. Non c’è qua­si mai sta­to nulla di simi­le pri­ma d’o­ra. Ma ques­ta non è la sce­na decisi­va del­la sto­ria. Ce n’è uno che è più importante!
  • È for­se il momen­to in cui il para­li­ti­co si alza alla paro­la di Gesù – pro­ba­bilm­en­te per la pri­ma vol­ta nella sua vita – arro­to­la la sua stuoia, la pren­de sot­to il brac­cio e se ne va davan­ti alla fol­la stu­pi­ta che è lì riuni­ta? Inter­es­san­te, tra l’al­t­ro: come uomo mala­to, non c’era modo per ques­t’uo­mo di pas­sa­re attra­ver­so ques­ta fol­la – tor­nerò su ques­to più tar­di – come uomo gua­ri­to, lo spa­zio è ovvia­men­te fat­to per lui: «E si alzò, pre­se il suo let­to e uscì imme­dia­ta­men­te», così dice l’ul­ti­mo ver­so del nos­tro testo.

Non c’è dub­bio: la gua­ri­gio­ne che sta avve­nen­do qui è uni­ca. È stra­or­di­na­rio. Lo dico­no le per­so­ne che ne sono tes­ti­mo­ni: «Non abbia­mo mai vis­to nien­te di simi­le».(Mar­co 2:12). Ma è ques­ta la sce­na più importan­te del­la sto­ria? No! C’è qual­co­sa che è anco­ra più importan­te, mol­to più importante:

  • È il momen­to in cui il Signo­re Gesù si rivol­ge a ques­to para­li­ti­co e gli dice: «Figlio mio, i tuoi pec­ca­ti sono per­do­na­ti». Qual­co­sa di più gran­de e più importan­te di ques­to incorag­gi­a­men­to ad una per­so­na non può acca­de­re davvero.

È il pec­ca­to, dopo tut­to, che rovina la nos­t­ra vita, che dis­tur­ba gra­ve­men­te la nos­t­ra unio­ne e ci sepa­ra da Dio e dal suo mon­do eter­no. Natur­al­men­te, non tut­ti ne sono con­s­ape­vo­li. Anche il para­li­ti­co del­la nos­t­ra sto­ria pro­ba­bilm­en­te non se ne ren­de­va con­to. È pos­si­bi­le che l’uo­mo non abbia sof­fer­to per il suo pec­ca­to. For­se non ave­va cosci­en­za del pec­ca­to, come mol­ti dei nos­tri con­tem­pora­nei non ne han­no più. Il pec­ca­to non è più un pro­ble­ma oggi, vero? Colo­ro che pren­do­no anco­ra sul serio il pec­ca­to ven­go­no deri­si, o com­pa­ti­ti, non pre­si sul serio. Oggi, il pec­ca­to vie­ne igno­ra­to, nega­to, o poi mini­miz­za­to, scu­sa­to, spie­ga­to, reinter­pre­ta­to, sor­vo­la­to, ecc. Ma non impor­ta come affron­ti­amo il pec­ca­to, il suo effet­to bru­ta­le rima­ne: rovina la nos­t­ra vita. Appe­san­tis­ce le nost­re rela­zio­ni e ci sepa­ra per semp­re da Dio e dal suo mon­do eter­no, il cie­lo. Ecco per­ché la pro­mes­sa del per­do­no dei pec­ca­ti è la cosa miglio­re che ci pos­sa capi­t­are. Apre la por­ta alla sal­vez­za del­la nos­t­ra vita e del­le nost­re rela­zio­ni. Ci apre la por­ta del cie­lo, che rima­ne chi­usa per colo­ro che non han­no il per­do­no dei pec­ca­ti. Il per­do­no dei pec­ca­ti è il bene più alto che pos­sia­mo rice­ve­re. È una ric­chez­za che fa impall­id­ire com­ple­ta­men­te i mili­o­ni o addi­rit­tu­ra i mili­ar­di che i più ric­chi di ques­to mon­do posso­no pos­se­de­re. Gesù dice: «Che bene fareb­be un uomo se gua­d­a­g­nas­se il mon­do inte­ro e tut­ta­via dann­eg­gi­as­se la sua ani­ma? O cosa può dare l’uo­mo per ris­cat­ta­re la sua ani­ma?».(Matteo 16:26). Pos­sia­mo ave­re tut­ti i beni di ques­to mon­do. Se non abbia­mo il per­do­no dei pec­ca­ti, sare­mo let­teral­men­te a mani vuo­te quan­do il giudi­ce supre­mo, il san­to Dio, ci con­vocherà davan­ti al suo tro­no e ci chi­amerà a ren­de­re con­to del­la nos­t­ra vita. All­o­ra tut­ti i beni di ques­to mon­do non bas­teran­no a liber­ar­ci dal giudi­zio che ci col­pirà quan­do dov­re­mo sta­re davan­ti a Dio con una col­pa non per­do­na­ta. Ave­te il per­do­no dei vos­tri pec­ca­ti o non lo ave­te? Ques­ta è la doman­da fon­da­men­ta­le: hai il per­do­no dei tuoi pec­ca­ti o non ce l’hai?

È così importan­te che abbia­mo ques­ta assi­cu­ra­zio­ne di Gesù – ora e anche quan­do sta­re­mo davan­ti al tro­no del giudi­zio di Dio: «I tuoi pec­ca­ti sono per­do­na­ti!». Al para­li­ti­co del­la nos­t­ra sto­ria Gesù ha pro­mes­so ques­to: «Figlio mio, i tuoi pec­ca­ti sono per­do­na­ti». Mera­vigli­oso. Pro­ba­bilm­en­te non capis­ce nem­meno cosa signi­fi­chi al momen­to. Fu por­tato da Gesù per esse­re libera­to dal­la sua para­li­si. Ma il per­do­no dei suoi pec­ca­ti è la cosa miglio­re che pot­esse capi­targ­li. La gua­ri­gio­ne fisi­ca che spe­ri­men­ta dopo è ’solo» la con­fer­ma, la pro­va tan­gi­bi­le che la pro­mes­sa di Gesù non è solo fumo negli occhi, ma veri­tà e real­tà. Una gran­de sto­ria. Qual­cu­no è per­do­na­to per i suoi pec­ca­ti. Ora voglia­mo chie­de­re insie­me come il para­li­ti­co arri­va a ques­ta espe­ri­en­za uni­ca con Gesù. Come arri­va a ques­to incon­tro con Gesù, in cui gli vie­ne con­ces­so ques­to bene supre­mo, il per­do­no dei pec­ca­ti? La ris­pos­ta è chia­ra: ha per­so­ne, amici, vici­ni che lo aiuta­no ad ave­re ques­to incon­tro con Gesù. Ques­to è quello che vole­te anche voi – per­so­nal­men­te e come con­gre­ga­zio­ne: aiut­a­re alt­re per­so­ne ad ave­re ques­to incon­tro sal­vi­fi­co con Gesù. Dopo tut­to, ques­ta è la nos­t­ra mis­sio­ne, la nos­t­ra chi­ama­ta. Il para­li­ti­co nel rac­con­to di Mar­co 2 ha per­so­ne che sono suoi amici o vici­ni e che lo aiuta­no ad ave­re ques­to incon­tro decisi­vo con Gesù. Che tipo di per­so­ne sono? Cosa li carat­te­riz­za? Ques­ta è la doman­da che voglia­mo esplo­ra­re insie­me. Ci sono cin­que «carat­teristi­che» che osser­vo in ques­ti amici del­l’uo­mo para­liz­za­to e che vor­rei svi­luppa­re bre­ve­men­te qui:

  1. Sono per­so­ne che han­no un occhio e un cuo­re per i deboli
  2. Sono per­so­ne che indossano
  3. Sono per­so­ne che porta­no a Gesù
  4. Sono per­so­ne che non si arrendono
  5. Sono per­so­ne che credono.

Ques­ti sono i cin­que pun­ti che carat­te­riz­za­no gli amici o i vici­ni in ques­ta storia:

  • Han­no un occhio e un cuo­re per i deboli.
  • Sono pron­ti a partorire.
  • Han­no la fer­ma con­vin­zio­ne che il para­li­ti­co deve veni­re a Gesù.
  • Non si arrendono.
  • Cre­do­no che Gesù aiuti.

Pri­ma di ent­ra­re nel det­taglio di ques­te carat­teristi­che, voglio sot­to­li­nea­re bre­ve­men­te un’af­fer­ma­zio­ne all’i­ni­zio di ques­ta sto­ria in cui mi sono imbat­tu­to ment­re leg­ge­vo il tes­to. C’è scritto: «E dopo alcu­ni gior­ni andò – Gesù – di nuo­vo a Cafar­nao; e si è sapu­to che era in casa». Cafar­nao era con­side­ra­ta la «sua cit­tà», la cit­tà di Gesù. È lì che ave­va la sua casa. Vive­va lì – pro­ba­bilm­en­te nella casa di Pie­tro. «Si è spar­sa la voce che era in casa». «Si è spar­sa rapi­da­men­te la voce che era tor­na­to a casa», tra­dot­to ’spe­ran­za per tut­ti» ques­to pass­ag­gio. E ques­to dis­cor­so del villag­gio «Gesù è nella casa» ha fat­to sì che la gen­te si radunas­se lì. Ecco per­ché sono venuti in mas­sa: Gesù era in casa! Non era il magni­fi­co edi­fi­cio che atti­ra­va la gen­te, non i bei din­tor­ni, non la sala riunio­ni ben pro­gett­a­ta con sedie imbot­ti­te, pal­co e orga­ni lumi­no­si, non l’im­po­nen­te cam­pa­ni­le, nem­meno l’in­vi­tan­te suo­no del­le cam­pa­ne… Era solo la pre­sen­za di Gesù che por­ta­va la gen­te qui. «Si è sapu­to che era in casa. E mol­ti si riun­iro­no…» Oh, potreb­be esse­re det­to anche sul­le case, sul­le chie­se e sul­le cap­pel­le in cui noi cris­tia­ni ci riunia­mo: «Ehi, Gesù è in casa! Gesù è nella casa!» For­se la gen­te sareb­be più pro­pen­sa a veni­re. For­se sareb­be­ro meno ini­bi­ti ad ent­ra­re nel­le nost­re chie­se e cap­pel­le se sapes­se­ro: Gesù è nella casa! Come cre­den­ti sia­mo il cor­po di Cris­to, vero? Ques­to è ciò che insegna l’a­pos­to­lo Pao­lo. Dal­l’A­s­cen­sio­ne e dal­la Pen­te­cos­te, sia­mo i suoi rappre­sen­tan­ti in ques­to mon­do. La gen­te dov­reb­be vede­re Gesù in noi, nella nos­t­ra vita, nella nos­t­ra unio­ne. Pur­trop­po, spes­so vedo­no qual­co­sa di diver­so da lui. Care sor­el­le e fratel­li qui nel see­tal chi­le: Come si par­la del­la casa in Chrisch­o­na­weg 2 a Seon? Sareb­be bel­lo se ques­ta casa diven­tas­se l’in­di­riz­zo dove la gen­te dice: Gesù è in casa! Ma ora pas­sia­mo alle carat­teristi­che o qua­li­tà che fan­no l’es­se­re ami­co o vici­no in ques­ta storia:

1. essere amico e vicino significa avere un occhio e un cuore per i deboli

Del­le per­so­ne che porta­no il para­li­ti­co a Gesù nella nos­t­ra sto­ria, non sap­pia­mo ver­a­men­te chi sia­no: Sono mem­bri del­la fami­glia? Sono vici­ni di casa? Sono for­se mem­bri del­l’As­so­cia­zio­ne dei Sama­ri­ta­ni o degli Inva­li­di? Sono sem­pli­ce­men­te per­so­ne del­la sua cer­chia di cono­s­cen­ti? Non lo sap­pia­mo. Ma una cosa la sap­pia­mo: han­no un occhio e un cuo­re per ques­to para­li­ti­co. Non gli sono indif­fe­ren­ti. Sof­f­ro­no con lui. La sua para­li­si toc­ca i loro cuo­ri. E non desi­de­r­ano alt­ro che esse­re aiuta­ti. I debo­li e gli umi­li non han­no uno sta­tus ele­va­to nella nos­t­ra socie­tà. Ques­to era già il caso all­o­ra. Ricordo la nota sto­ria del cie­co Bar­ti­meo, che illus­tra ques­to in modo dram­ma­ti­co: con quan­ta scor­te­sia e sen­za cuo­re la gen­te reagis­ce quan­do il cie­co chi­ama Gesù e gli chie­de miser­i­cor­dia: «Mol­ti lo spin­ge­va­no a tace­re…»(Mar­co 10:48) «Zit­to, la gen­te ha gri­da­to con rab­bia». Ecco come «Hope for All» descri­ve la rea­zio­ne del­le per­so­ne lì. «Zit­to!» Non dis­tur­ba­te­ci! Non fer­ma­re il Signo­re Gesù! Ha cose più importan­ti da fare che occu­p­ar­si di crea­tu­re mise­ra­bi­li come voi.

Anche i dis­ce­po­li più vici­ni a Gesù reagis­co­no in modo simi­le quan­do i bam­bi­ni ven­go­no por­ta­ti a Gesù aspett­an­do­si che impon­ga le mani su di loro e preghi per loro: «I dis­ce­po­li li han­no cac­cia­ti – i geni­to­ri», leg­gi­a­mo di loro (Matteo 19:13; Mar­co 10:13 ecc.). I bam­bi­ni, o anche i vec­chi, debo­li, mala­ti, disa­bi­li non sono nien­te per Gesù. Il Mes­sia ha biso­g­no di per­so­ne gio­va­ni, sane e for­ti per cos­trui­re il suo mera­vigli­oso reg­no. Ques­ta era la con­vin­zio­ne dei dis­ce­po­li. Ma Gesù li rim­pro­verò: «Vi sba­glia­te com­ple­ta­men­te! No, io non cos­truis­co il mio reg­no con i gran­di, non con gli influ­en­ti e i for­ti, io cos­truis­co il mio reg­no con per­so­ne che vivo­no del­la mia for­za e del­la mia gra­zia. Anche Pao­lo pen­sa­va di dover esse­re for­te per ser­vi­re effi­ca­ce­men­te Gesù. Ecco per­ché vole­va liber­ar­si del­la sua debo­lez­za e pre­ga­va appas­sio­na­ta­men­te per ques­to. E Gesù gli dice: «Sia­te sod­dis­fat­ti del­la mia gra­zia, per­ché la mia poten­za è poten­te nei debo­li». (2 Corin­zi 12:9). «Lascia­te che i bam­bi­ni ven­ga­no a me e non glie­lo impe­di­te, per­ché a loro appar­tiene il reg­no di Dio». Ques­to è il modo in cui Gesù insegna al suo popo­lo. E come con­ti­nua la sto­ria del cie­co Bar­ti­meo, che i com­pa­gni di Gesù vogli­o­no far tace­re? Gesù si fer­ma e lo chi­ama a sé (Mar­co 10,49). Si pren­de cura di lui e lo aiu­ta. E lo dice chia­ra­men­te: io ci sono per ques­te per­so­ne. «I sani non han­no biso­g­no del med­ico, ma i mala­ti…»(Luca 5:31). Care sor­el­le e fratel­li, abbia­mo capi­to e inte­rio­riz­za­to ques­to? Gesù ha un occhio e un cuo­re per i debo­li. Ce l’ab­bia­mo anche noi, che voglia­mo seguir­lo? Abbia­mo un occhio per le per­so­ne debo­li, indif­ese e impo­ten­ti che ci cir­cond­a­no? Abbia­mo un cuo­re per loro? O for­se cer­chi­amo piut­tosto il sano e il gran­de e il for­te e il ric­co? Esse­re ami­co e vici­no signi­fi­ca ave­re un occhio e un cuo­re per i deboli.

2. essere amico e vicino è portare

Ques­to è ciò che mi impres­sio­na del­le per­so­ne che porta­no il para­li­ti­co a Gesù. Stan­no aiut­an­do. Non si limi­ta­no a guar­da­re. Non sono solo dis­pia­ci­uti per lui. Non stan­no solo espri­men­do la loro sim­pa­tia e com­pas­sio­ne. Non cer­ca­no di con­fort­ar­lo. Non gli dan­no buo­ni con­sig­li. Non gli dico­no: devi… dov­res­ti… No! Lo affront­a­no. Lo pren­do­no sul­le spal­le e lo trasporta­no. E lo porta­no in brac­cio fin­ché non è con Gesù. Ques­to è ciò che signi­fi­ca esse­re un ami­co: Port­are i debo­li. Sol­le­var­si sot­to il suo peso. Fare del suo biso­g­no il pro­prio biso­g­no – fino a quan­do non è scon­gi­ura­to. Ques­to è anche ciò che Pao­lo insegna nella sua let­te­ra ai Gala­ti quan­do scri­ve loro: «Por­ta­te i pesi gli uni degli altri e adem­pire­te la leg­ge di Cris­to».(Gala­ti 6:2). Esse­re ami­co e vici­no signi­fi­ca port­are. E ques­to non può esse­re fat­to da solo. Ci vuo­le una comu­ni­tà di por­tato­ri. Una sola per­so­na sareb­be sopra­ffat­ta. Nella nos­t­ra sto­ria ci vie­ne det­to che il para­li­ti­co vie­ne por­tato da quat­tro. Hai capi­to? Non è uno solo. Né sono solo due. Sono quat­tro che porta­no il para­li­ti­co. E il tes­to sug­ge­ris­ce che ce ne sono sta­ti altri: «E alcu­ni ven­ne­ro da lui, portan­do un para­li­ti­co por­tato da quat­tro». Ci sono ovvia­men­te più per­so­ne che porta­no il para­li­ti­co che i quat­tro che lo trasporta­no. C’è una comu­ni­tà di por­tato­ri, per­so­ne che posso­no anche port­ar­lo a tur­no. Esse­re un ami­co è port­are. E ques­to port­are non si fa da soli, ma insie­me ad altri. Un indi­vi­duo sareb­be sov­r­ac­ca­ri­ca­to e pri­ma o poi crol­ler­eb­be sot­to il cari­co che sta portan­do. Care sor­el­le e fratel­li qui a Seon, voi non solo ave­te la mis­sio­ne, ma anche la for­za, il poten­zia­le, di port­are insie­me per­so­ne che sono debo­li. Fallo!

3. essere amico e vicino significa portare le persone a Gesù

Ques­to mi sem­bra un pun­to cru­cia­le. La gen­te non por­ta l’uo­mo para­liz­za­to da nessuna par­te. Non lo porta­no nella loro club­house. Non lo porta­no alla riunio­ne di un club, a una riunio­ne di quar­tie­re o di fami­glia. Non lo porta­no a una con­fe­ren­za emo­zio­n­an­te, a un con­cer­to o a un even­to di intrat­ten­imen­to. Gli amici fan­no tut­to ques­to, natur­al­men­te. E a vol­te è buo­no e importan­te port­are le per­so­ne debo­li in luoghi dove posso­no esse­re dis­trat­te dal­la loro mise­ria. Ma le per­so­ne qui nella sto­ria non stan­no tra­scin­an­do il para­li­ti­co da qual­che par­te. Lo porta­no a Gesù per­ché sono pro­fon­da­men­te con­vin­ti che ques­t’uo­mo ha biso­g­no di Gesù più di tut­ti gli altri. Ques­ta preoc­cu­p­a­zio­ne bru­cia nei loro cuo­ri: ques­t’uo­mo deve veni­re a Gesù. Deve incon­tra­re Gesù. Ecco per­ché non lo porta­no da nessuna par­te se non da Gesù. Ques­ta osser­va­zio­ne è così importan­te per me per­ché so dal­la mia espe­ri­en­za di pre­di­ca­to­re di mol­ti anni quan­to sia gran­de la ten­ta­zio­ne per noi come con­gre­ga­zio­ni cris­tia­ne di esse­re inter­es­sa­ti ad alt­re per­so­ne solo per­ché sti­amo cer­can­do una cre­sci­ta per la con­gre­ga­zio­ne. Voglia­mo cre­sce­re. Voglia­mo diven­ta­re più gran­di. E poi inviti­amo la gen­te ai nos­tri even­ti di chie­sa – non per­ché voglia­mo che la gen­te con­os­ca Gesù, ma per­ché voglia­mo che la chie­sa cre­sca. E poi, quan­do arri­va­no al ser­vi­zio, sia­mo già sod­dis­fat­ti. E non chie­dia­mo nem­meno se fan­no espe­ri­en­za di Gesù, se spe­ri­men­ta­no il per­do­no dei loro pec­ca­ti e rice­vo­no una nuo­va vita, oppu­re no. L’im­portan­te è che sia­no lì, nella con­gre­ga­zio­ne! E ques­ta ten­ta­zio­ne è par­ti­co­lar­men­te gran­de per le pic­co­le con­gre­ga­zio­ni, per le con­gre­ga­zio­ni che devo­no lot­ta­re per la soprav­vi­ven­za. So di cosa sto par­lan­do. La con­gre­ga­zio­ne Chrisch­o­na di Egg, dove ero di stan­za come pre­di­ca­to­re negli ulti­mi 9 anni del mio minis­te­ro, era una con­gre­ga­zio­ne mol­to pic­co­la. Lì ques­ta lot­ta per la soprav­vi­ven­za era mol­to rea­le. E l’ho nota­to anco­ra e anco­ra: improv­vi­sa­men­te non si trat­ta più di port­are le per­so­ne a Gesù, ma di con­quis­tar­le per il pro­prio «club», per la con­gre­ga­zio­ne… Ma se ques­ta diven­ta la moti­va­zio­ne del­l’e­van­ge­liz­za­zio­ne, all­o­ra è già fal­li­ta. Per­ché la gen­te lo nota mol­to rapi­da­men­te. Not­a­no mol­to rapi­da­men­te se sia­mo preoc­cu­pa­ti per loro, o per noi, per il nos­tro club, per i nuo­vi soci. E ques­to li ren­de rilut­tan­ti e anche sos­pet­to­si. Ques­ta chi­ama­ta a con­quis­ta­re le per­so­ne per noi stes­si, per le nost­re asso­cia­zio­ni cris­tia­ne, è anche qual­co­sa che si attac­ca a noi chie­se evan­ge­li­che – a vol­te non del tut­to sen­za ragio­ne… Esse­re amici e vici­ni signi­fi­ca port­are le per­so­ne a Gesù – non alla chie­sa! Esse­re un ami­co signi­fi­ca gioire quan­do spe­ri­men­ta­no Gesù, quan­do arri­va­no a cre­de­re in lui e spe­ri­men­ta­no la spe­ran­za e la nuo­va vita attra­ver­so la fede in Gesù – anche se non si unis­co­no alla «nos­t­ra» chie­sa. È note­vo­le nella nos­t­ra sto­ria che Gesù non dica al para­li­ti­co: «Alza­ti, pren­di il tuo let­to e uni­s­ci­ti a noi!» Gli dice: «Alza­ti, pren­di il tuo let­to e vai a casa!». Esse­re amici e vici­ni signi­fi­ca port­are le per­so­ne a Gesù.

4. essere amico e vicino è non rinunciare

Le per­so­ne del­la nos­t­ra sto­ria che han­no in cuo­re di port­are il para­li­ti­co a Gesù sco­pro­no che non è così faci­le. C’è un gran­de ost­aco­lo sul­la stra­da ver­so Gesù. E ques­to ost­aco­lo è in real­tà tra­gi­co: sono le per­so­ne che sono inter­es­sa­te a Gesù, che vogli­o­no esse­re par­ti­co­lar­men­te vici­ne a lui. Essi ost­aco­la­no il «tras­por­to disa­bi­li». Non lascia­no pas­sa­re gli uomi­ni con il para­li­ti­co. Non fan­no spa­zio. Quan­to ost­ru­zi­o­nis­mo, quan­to bloc­co per i biso­gno­si, le per­so­ne pie posso­no diven­ta­re quan­do per­do­no la vis­ta e il cuo­re per i debo­li. Poi all’im­prov­vi­so si met­to­no in mez­zo. Essi ost­aco­la­no colo­ro che dov­reb­be­ro esse­re por­ta­ti a Gesù per­ché ne han­no dispe­ra­ta­men­te biso­g­no. Ques­ta è la cosa scon­vol­gen­te di ques­ta sto­ria, che è gran­de in se stes­sa: il più gran­de ost­aco­lo per le per­so­ne con il loro ami­co para­liz­za­to sono colo­ro che vogli­o­no esse­re mol­to vici­ni a Gesù… Che ques­ta sto­ria diven­ti uno spec­chio miser­i­cor­dio­so per noi, se dove­s­se acca­de­re anche che noi come per­so­ne pie sia­mo più un ost­aco­lo per gli altri che una gui­da e un aiuto per Gesù. La cosa buo­na di ques­ta sto­ria è che gli uomi­ni che porta­no il para­li­ti­co non si arren­do­no. Potreb­be­ro dimet­ter­si e dire: «Mi dis­pia­ce, ci abbia­mo pro­va­to, ma non ha fun­zio­na­to». Vole­va­mo con tut­to il cuo­re che ques­to para­li­ti­co venis­se a Gesù, ma pur­trop­po non è sta­to pos­si­bi­le. Avreb­be­ro potu­to rin­un­cia­re e riport­are il mala­to a casa. Ma non lo fan­no. Non si arren­do­no. Pren­do­no un modo non con­ven­zio­na­le, addi­rit­tu­ra com­ple­ta­men­te fol­le, per rag­gi­unge­re il loro obi­et­tivo: sal­go­no sul tet­to del­la casa e la rom­po­no. Qui si chi­ama: «Han­no fat­to un buco…» (Mar­co 2:4). Han­no fat­to un buco nel tet­to! E ques­to non era un tet­to di tego­le come lo cono­scia­mo oggi, che pote­va esse­re sco­per­to e poi sem­pli­ce­men­te richi­uso. Pro­ba­bilm­en­te era un tet­to di fan­go, e non era così faci­le rimet­ter­lo a pos­to. Ques­ti uomi­ni ris­chia­no di esse­re accu­sa­ti di dan­ni alla pro­prie­tà. Forano il tet­to del­la casa dove si tro­va Gesù e fan­no scen­de­re il para­li­ti­co attra­ver­so ques­to buco nel tet­to – pro­prio ai pie­di di Gesù. Care sor­el­le e fratel­li, quan­to sia­mo dis­pos­ti a inves­ti­re e anche a ris­chia­re quan­do si trat­ta di far sì che le per­so­ne poss­a­no incon­tra­re Gesù? Ho l’im­pres­sio­ne che a vol­te ci arren­dia­mo trop­po in fret­ta, che capi­to­li­a­mo trop­po in fret­ta quan­do ci sono del­le dif­fi­col­tà. Esse­re un ami­co non signi­fi­ca arren­der­si. Esse­re un vici­no di casa signi­fi­ca rima­ne­re fede­le – anche quan­do ci sono ost­aco­li sul­la stra­da ver­so Gesù.

5. essere amico e vicino è credere per l’altro.

Ques­to è qual­co­sa che mi affa­sci­na semp­re di ques­ta nota sto­ria quan­do la leg­go o la sen­to. C’è scritto: «Quan­do Gesù vide la loro fede - la fede degli amici - dis­se al para­li­ti­co: «Figlio mio, i tuoi pec­ca­ti sono per­do­na­ti». In tut­ta la sto­ria non leg­gi­a­mo nulla sul­la fede del para­li­ti­co. For­se non cre­de­va affat­to. For­se era pie­no di dub­bi. For­se ha solo lascia­to che i suoi amici lo tra­scinas­se­ro a ques­to Gesù. For­se ha pen­sa­to: «Se non ser­ve, non ser­ve! In ogni caso, Gesù non vede qui la fede del para­li­ti­co, ma quella dei suoi por­tato­ri. «Quan­do dun­que Gesù vide la loro fede, dis­se al para­li­ti­co: «Figlio mio, ti sono per­do­na­ti i tuoi pec­ca­ti». Appa­ren­te­men­te esis­te una cosa come la «fede inter­ces­so­ria», una fede che pos­sia­mo ave­re vica­ria­men­te per i debo­li. Per­so­nal­men­te, cre­do che ci sia­no situa­zio­ni e sti­li di vita in cui le per­so­ne non han­no più la for­za e la capa­ci­tà di cre­de­re. E in tali situa­zio­ni, appel­li come: Devi solo cre­de­re! Non dove­te dubi­t­are, ecc. non ser­vo­no a nien­te. Al con­tra­rio, non fan­no che aumen­ta­re la mise­ria dei debo­li. Ci sono situa­zio­ni e modi di vive­re in cui è richies­ta la fede sosti­tu­ti­va, la fede inter­ces­so­ria di per­so­ne for­ti. E la nos­t­ra sto­ria mos­tra che Gesù ris­pet­ta tale fede inter­ces­so­ria e bene­di­ce la per­so­na debo­le per cui si cre­de. Esse­re ami­co e vici­no è cre­de­re per l’altro.

Care sor­el­le e fratel­li qui in see­tal chi­le: Dal pro­fon­do del mio cuo­re augu­ro a tut­ti voi di ave­re amici come quel­li descrit­ti in ques­ta sto­ria del­l’uo­mo para­liz­za­to. Ma anco­ra di più, desi­de­ro che tut­ti voi sia­te o diven­tia­te tali amici – una bene­di­zio­ne per i para­li­ti­ci, per i mala­ti, per i debo­li e i biso­gno­si. Vor­rei chiude­re con un rif­e­ri­men­to alla para­bo­la del Buon Sama­ri­ta­no. Sai per­ché Gesù rac­con­ta ques­ta para­bo­la? Lo rac­con­ta per­ché qual­cu­no – uno scri­ba – vie­ne da lui e glie­lo chie­de: «Chi è il mio vici­no?» (Luca 10:29). E poi Gesù rac­con­ta la sto­ria del­l’uo­mo che è sta­to aggre­di­to, e le per­so­ne pie, il sacer­do­te e il levi­ta, gli pass­a­no accan­to con non­cu­ran­za. E poi il sama­ri­ta­no, ques­to «stra­nie­ro», arri­va e aiu­ta l’uo­mo feri­to. Si occu­pa del­le sue feri­te e si pren­de cura di lui. Ricorda­te anche come Gesù con­clude ques­ta para­bo­la? Lo fa con la doman­da: «Qua­le di ques­ti tre cre­di che fos­se vici­no a colui che era cadu­to tra i bri­gan­ti?». (Luca 10:36). Lo scri­ba chie­de a Gesù chi sia il suo vici­no. E Gesù gli rispon­de: «La ques­tio­ne non è chi è il tuo prossi­mo. La ques­tio­ne è con chi si è vici­ni. Esse­re un ami­co è esse­re un vici­no. Ed esse­re un vici­no signi­fi­ca ser­vi­re chi ha biso­g­no di aiuto. Esse­re un vici­no signi­fi­ca veder­lo, port­ar­lo, port­ar­lo a Gesù, per­se­ver­a­re per lui e cre­de­re per lui che non può, o non può anco­ra far­lo da solo. Che il Signo­re Gesù ci aiuti a diven­ta­re tut­te ques­te per­so­ne, amici e vici­ni di casa che sono lì per gli altri e li aiuta­no ad incontrarlo.